“Centro Mimir” è un progetto, iniziato nel 1995 con la denominazione ARCO, Arte & Letteratura, Psicologia e Comunicazione, che si propone, tanto nel mondo virtuale di Internet, quanto nel mondo reale, di facilitare l’incontro tra chi a vario titolo vive e desidera condividere disagi derivanti da problemi della salute, fisica e mentale, e di promuovere la riabilitazione psichiatrica e l’auto reciproco aiuto
Il “Centro Mimir- Germinalyse ” ha un suo piccolo Spazio Aperto in Second Life, che potrà servire per incontri e piccole esposizioni aventi per tema l'arte, la psicoanalisi, la vita contemporanea.Tutti sono invitati a visitarlo, a frequentarlo, e a contribuire con proposte, commenti, suggerimenti, ed a segnalare proprie immagini (dipinti, disegni, fotografie) che vorrebbero vedere per un certo tempo esposte, gratuitamente, nell'Open Space.
Le est un centre d'étude et de recherche sur les flux de subjectivité comme transmission d'énergie.
Les échanges avec l'autre et l'environnement extérieur commence dés la vie intra-utérine. Très tôt, alors que ses sens sont en formation, le foetus perçoit déjà toutes les stimulations physiques, vibrations. Perceptions que l'ouïe, goût et l'odorat viendra compléter vers la onzième semaine. C'est donc par le corps que nous communiquons dans un premier temps. Puis après la naissance, l'homme avec le langage, invente sa propre réalité et construit son individualité *.
La subjectivité est le caractère d'individualité de chaque être. Cette construction de subjectivité, propre à chacun, est constante au cours du vécu mais les fondations établies pendant l'enfance sont déterminantes.
C'est l'expression de cette subjectivité qui oriente nos actes, notre rapport aux autres et notre vision du monde. Elle s'exprime par toute communication, qu'elle passe par le corps, la parole ou la transformation de matière (création). Par ces échanges de subjectivité (communication), l'être humain interagit avec son environnement, êtres, objets. Cet environnement définit l'espace subjectif collectif. Chaque personne modifie cet environnement qui la modifie en retour et lui permet d'évoluer.
Le étudie ces flux de subjectivité dans tous ces modes d'expressions qu'il définit comme une transmission d'énergie. Nous cherchons à établir les interactions entre les individus d'une part et entre les individus et leur environnement d'autre part, dans une vision globale et interdépendante selon le modèle de la physique quantique: L'être humain et la réalité qui l'entoure sont constitués de matière. Or cette matière est un flux d'énergie en interaction constante.
Nous n'avons pas conscience de ces flux d'énergie inhérent à notre communication. Cependant nous pouvons la ressentir fortement lors d'événements, où nous partageons, ensemble, une émotion intense nous faisant "vibrer au même diapason", comme une rencontre sportive, une cérémonie religieuse ou un concert de musique.
Nous devons procéder à une redéfinition globale considérant l'être humain et son environne- ment comme un espace énergétique en interaction. Cet espace énergétique sera définit comme espace subjectif individuel (ou Territoire existentiel) pour chaque être humain et espace subjectif collectif (ou Epsilosphère) pour les flux de subjectivité émis par l'ensemble des individus et par l'ensemble des actualisations présentes ou passées.
> Voir la cartographie des flux de subjectivité et la définition de ses composantes:
(Cliquez sur l'image ci-dessous pour l'agrandir:
S'il est possible d'étudier par les traces (ou actualisations) ces flux de subjectivité, cela est moins aisé pour chaque Territoire existentiel que représente chaque individu. Comme le définit Félix Guattari " chaque personne véhicule son propre système de modélisation de subjectivité, c'est à dire une certaine cartographie faite de repères cognitifs mais aussi mythiques, rituels, symptomatologiques à partir de laquelle il se positionne par rapport à ses affects, ses angoisses et tente de gérer ses inhibitions et ses pulsions" (*).
Notre recherche tend à comprendre les processus de pensée comme des systèmes quantiques. D'après ce modèle quantique nous définissons l'être humain comme un complexe énergétique corps/esprit appelé Moi quantique que nous représentons par une fonction d'onde. Si cette fonction d'onde est en variation constante, toutes les relations avec l'environnement (altérité, sémiosphère) n'influent pas. Car si tout fait signe, tout ne fait pas réaction chez l'individu.
Le moment réactionnel est donc le moment où le sujet , grâce aux influx subjectifs, "évoluera" dans son ontogenèse*. C'est aussi (et surtout) la possibilité pour lui d'ouvrir de nouveaux champs de virtualité, donc de nouvelles actualisations, d'actes créateurs amplifiés.
(*) Félix Guattari, Chaosmose, ed. Gallilée
(*) Boris Cyrulnik, L'ensorcellement du monde, ed. Odile Jacob
ontogenèse: développement de l'individu de sa conception à l'adulte
"L’inconscio è del tutto positività, è una logica di flussi e di intensità che non sono determinati, controllati dalla rappresentazione (...) Si cosificano gli enunciati, il bambino vuole uccidere suo fratello, desidera la madre, è responsabile, è un criminale, è incestuoso: che lo sappia o no, il suo comportamento rientra nel campo della legge. Così tutti i poli (il bambino, il fratello, la madre) si sono cristallizzati nel campo della rappresentazione (...) . Tutta la realtà è compressa nel campo meccanicistico dei valori binari: il bene-il male, il ricco-il povero, l’utile-l’inutile, ecc.... Ma l’inconscio non conosce queste categorie binarie, non conosce nè l’amore nè l’odio, per esso tutto è possibile nello stesso tempo, gli enunciati possono portare in parecchie direzioni a un tempo. Tutta la genetica psicoanalitica conduce a considerare che, finchè un soggetto non è sottomesso a quel sistema dicotomico e manicheistico, non è normale (...) E’ dunque in partenza che la psicoanalisi ha condannato il DESIDERIO INCONSCIO. L’inconscio è ad essa apparso come qualcosa di bestiale, di pericoloso (..) L’energia libidica deve convertirsi nel sistema manicheistico dei valori dominanti, deve investire le rappresentazioni normali."
"L’idea di un con-catenamento collettivo, di un investimento collettivo della libido su parti del corpo, su gruppi di individui, costellazioni di oggetti e di intensità, su macchine d’ogni specie farebbe uscire il desiderio da questa oscillazione tra il triangolo edipico e il suo crollo nella pulsione di morte per aprirlo su molteplicità sempre più larghe, sempre più aperte al campo sociale". Al di là del suo pensiero specifico insieme a Marco D’Eramo "ci dava sicurezza saperlo lì a Parigi, a San Francisco, in giro per il mondo, in giro per le idee, non domo". Concludiamo con una frase di Felix in cui ci piace riconoscerci: "Abbiamo scritto l’ANTIEDIPO in due. Siccome ognuno di noi era parecchi, faceva già molta gente".
Cosa accadrà, tra un mese, un anno, di Second Life? Sicuramente tra le imminenti innovazioni c’è l’audio. Non si dovrà più digitare ma parlare, quindi addio ai transgender virtuali. Col passare del tempo gli avatar, i mondi, assumeranno un aspetto sempre più reale. Al momento le differenze tra la First Life e la Second Life sono palesi - Anche se già ora, molti fanno un po’ di confusione - Talvolta queste differenze sono vissute in modo frustrante, perché non tutto è “umanamente” possibile.
Forse anche per questo un team di psicologi della Stanford University, sembra considerare positivamente il fenomeno. Il gioco on-line, all'interno del quale si crea una comunità ampia ed eterogenea, sembra avere delle caratteristiche sociali molto rassomiglianti a quelle della vita reale.
Lo studio, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista CyberPsychology and Behaviour, dimostra che ambienti virtuali di questo tipo possono essere impiegati per psicoanalisi i cui risultati sono validi anche nel mondo vero.
Tornando alle evoluzioni, quando tutto sarà perfettamente simile alla First Life, e in più già si posseggono tutti quei poteri che l’uomo ha sempre sognato, come volare. Per quale motivo si dovrebbe preferire di non emigrare definitivamente col cervello in Second Life? Lavoro, sesso e divertimenti vari, possono essere vissuti totalmente lì. Quale sarà, se ci sarà, la forza che potrà tenerci con i piedi per terra?
Sembra che chi gioca partite online in mondi virtuali dove si crei una comunità abbastanza ampia ed eterogenea, mantenga comportamenti molto simili a quelli che avrebbe nella vita reale.
Il notiziario online Punto Informatico riporta che ad esserne convinto è un team di psicologi della Stanford University, che si stanno occupando di analizzare i comportamenti di centinaia di avatar del gioco Second Life, tra i più seguiti dagli appassionati del genere. Lo studio, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista CyberPsychology and Behaviour, sembra dimostrare che ambienti virtuali di questo tipo possono essere impiegati per analisi i cui risultati restano validi anche nel mondo vero.
Sognare un’altra vita rispetto a quella che ci capita di vivere è, tra i sogni dell’uomo, quello più antico. Senza questo sogno forse non sarebbero nati i miti dove nelle vicende degli dèi ci si rappresenta la vita che si vorrebbe vivere, le religioni che promettono una vita eterna al di là di quella che trascorriamo sulla Terra, la letteratura dove storie fantastiche ci trasportano in mondi altri rispetto a quello in cui siamo costretti a vivere, la musica che ci porta fuori dallo spazio e dal tempo abituali per immergerci in assonanze e dissonanze sconosciute al nostro trascorrere quotidiano. Senza il sogno di un’altra vita non avremmo immaginato alcuna utopia dove possa aver luogo quello che al momento non ha luogo, alcuna rivoluzione che, rispetto all’esistente, promette «nuovi cieli e nuove terre» e, se non proprio, almeno altre condizioni di vita, alcun progresso scientifico promosso dal sogno di ridurre la fatica del lavoro e la crudeltà del dolore, quando non addirittura quello di procrastinare la morte. Senza il sogno di un’altra vita, davvero, ma proprio davvero, non riusciremmo a vivere. Tale è infatti la condizione umana, il suo tratto specifico, la sua peculiarità, la sua bellezza. Su questo sogno primordiale, in cui probabilmente è da rintracciare l’essenza dell’uomo, le religioni hanno costruito il concetto di “trascendenza”, una sorta di oltrepassamento dell’esistenza, in vista di altri scenari possibili e futuri. Dal canto suo la psicoanalisi, sempre a partire da questo sogno, ha costruito il concetto di “inconscio”, dove il desiderio di un altrove, rispetto alla monotonia del quotidiano, irrompe per creare scenari alternativi che, quando non si realizzano, diventano sofferenze nevrotiche. Quando il sogno di un’altra vita oltrepassa i limiti del desiderio e dell’immaginazione e più non si accontenta degli scenari dispiegati dai miti e dalle religioni, né di quelli più modesti dischiusi dalle visioni utopiche o dalle istanze rivoluzionarie, allora può accadere che ci si congedi dalla realtà per inoltrarsi in quei percorsi, ora bui ora folgoranti, che siamo soliti chiamare “follia”. Un tentativo estremo per continuare a vivere quando la realtà non ci offre più le condizioni e, senza il sogno di un assoluto altrove, altro non ci resterebbe che il suicidio. Una realizzazione di questo bisogno tipico dell’uomo — che nasce in un mondo “dato” al solo scopo di ri-nascere in un mondo da lui “creato”, perché solo nelle nostre creazioni reperiamo un senso che sia davvero “nostro” — oggi ce lo concede la frequentazione del virtuale, dove ciascuno di noi può identificarsi nel mito di se stesso, nella storia che vorrebbe e che non può vivere nella realtà, negli amori che gli sono impediti, in spazi che non ha mai frequentato, abitando case o castelli, spiagge o deserti che ha solo sognato, indossando abiti che non sono sul mercato, ma che ciascuno, vestendoli, sente di essere finalmente se stesso. Forse tante terapie psicoanalitiche potrebbero accorciare i loro tempi alla scoperta dell’inconscio, se ogni paziente portasse al suo analista un dischetto in cui descrive la sua “Second Life” e se l’analista avesse l’accortezza di non ricondurre subito l’immaginazione del paziente alla realtà. Perché senza sogni la vita è invivibile, e i sogni forse non vanno solo interpretati ma anche realizzati, a meno che non si voglia rinunciare totalmente al proprio sé profondo, dimenticando l’invito di Nietzsche: «Diventa ciò che sei». Naturalmente più solerte e più attento degli psicoanalisti è il mercato che studia il “Second Life Style” per consentire ad architetti, designer e creatori di moda di alimentare la loro creatività consunta e in via di estinzione e di andare incontro ai desideri segreti, ma in Second Life manifesti, di personalità creative a cui il “sano realismo” che regola la nostra cultura non concede di esprimersi se non nel virtuale. Ma il virtuale anticipa il reale come l’alchimia ha anticipato la chimica, il sogno leonardesco di volare l’aeronautica, l’immaginazione atomistica di Democrito la fisica quantistica, la chimica l’interpretazione goethiana dell’amore a partire dalle “affinità elettive”. A questo punto potremmo pensare che il reale è solo il residuato del virtuale, il passato dell’immaginazione, ciò che resiste all’ideazione e a quella proiezione futura senza la quale l’uomo sarebbe già scomparso in quella noia profonda e letale dove già stava scomparendo Dio, quando, come ci ricorda Kierkegaard, reagendo all’immenso vuoto che lo circondava, con un gesto di immaginazione, creò il mondo. Forse fu proprio ispirandosi a questo gesto che l’uomo divenne immagine e somiglianza di Dio. Ma la Second Life, oltre ad essere un inno alla magia del sogno, è anche un sintomo dell’intollerabilità della vita a cui siamo costretti. Una vita dove ciascuno di noi ha dimenticato il proprio nome perché è riconoscibile solo dalla sua funzione, a sua volta regolata dalle maglie strette e dalle regole ferree dell’apparato di appartenenza. C’è solo da augurarsi che la promessa di una seconda vita virtuale non rimanga solo un’evasione, ma diventi spunto per una progressiva modificazione del reale, senza che un’anticipata rassegnazione lasci tutto irrimediabilmente così com’è. Sarebbe la fine della vicenda umana in quel che ha di più creativo e ideativo.
Il Centro Mimir ha aperto da oggi un suo piccolo spazio in Second Life, sull'isola gaulois di menhirs.
E' un'iniziativa modesta, pensata per tastare il terreno di quel che succede in quel mondo virtuale, provando a starci dentro per qualche tempo, e per consentire a tutti coloro che lo desiderano, di condividere l'esperienza, non solo francofoni, ovviamente (il sito francofono è stato scelto perchè il più vicino alle idee e alle proposte del Centro Mimir, e per facilitarne gli ospiti di lingua francese)
Tra le altre cose il sito lesgaulois.sl.free.fr offre alcuni spunti per accedere alla cultura gallica e celtica da un punto di vista al contempo più semplice e meno ovvio di quanto non si sia abituati in Italia, dove i fans del mondo celtico lo sovraccaricano spesso, e lo distorcono, a danno dell'autenticità e della grandezza, anche in Italia, della Storia celtica.
_________________ "Ciò che mi preme è comprendere. Se altri comprendono - nello stesso senso in cui io ho compreso - allora provo un senso di appagamento, come quando ci si sente a casa in un luogo" (Hannah Arendt)
PUPKIN KABARETT nasce da una esperienza e da un progetto di “nicchia”-off si sarebbe detto una volta- cresciuto al Teatro Miela di Trieste. E' nel febbraio del 2001, infatti, su idea di Alessandro Mizzi e Stefano Dongetti, che prende il via la prima stagione della SALA PUPKIN: uno spazio alternativo alle proposte teatrali cittadine, una via di mezzo tra il laboratorio teatrale, il localino di cabaret e altro ancora.
Il pubblico recepisce presto lo spirito nuovo e insolito della proposta e comincia a riempire la sala ogni lunedì sera. Per quasi tre anni, ogni settimana, la Sala Pupkin è l'unico luogo in città dove assistere nella stessa serata a concerti, reading, performance d'attori o danzatori, fino a tarda notte. L'ambiente particolare del Teatro Miela, e anche il suo bar, fanno il resto.
Le “ospitate” vedono succedersi sul piccolo palco della saletta Giorgio Ganzerli, Bebo Storti, Antonio Cornacchione e tanti altri. Dall'esperienza nel “ridotto” del Miela si forma progressivamente un gruppo stabile di attori e musicisti. Ad A.Mizzi e S.Dongetti si affiancano Massimo Sangermano e Laura Bussani; al duo piano-sax di Riccardo Morpurgo e Piero Purini si unisce la batteria di Luca Colussi e nasce la “Niente Band”.
Anche il carattere multimediale delle serate viene confermato dalle surreali introduzioni in video del “Trio Lamentela”. Con sorpresa degli stessi organizzatori, l'ottantina di posti disponibili nella saletta cominciano a farsi stretti e per tre stagioni, alla Sala Pupkin si alternano nello stesso spirito giovani esordienti e performers affermati, sempre di fronte a un pubblico attento, curioso e “accalcato”. Ma è nell'ultime due stagioni che ha preso progressivamente forma il PUPKIN KABARETT, se così si può dire di uno spettacolo che non ha mai perso un mood scanzonato e informale. Alla Niente Band, spina dorsale musicale delle serate, si sono aggiunti il bassista Andrea Lombardini e il fisarmonicista Stefano Bembi (abbiamo ceduto a Paolo Rossi il cartellino del fisarmonicista per un suo spettacolo). Il Trio Lamentela continua ad aprire le serate con i suoi bislacchi commenti in video attendendo “dalla platea”. Laura Bussani passa via via dai panni della presentatrice polacca Agata a quelli della anziana disagiata Armida e di altri personaggi, disegnando una galleria di “tipi” femminili contemporanei. Janko Petrovec è lo stralunato e pungente professore di sloveno, che si ostina a voler erudire il pubblico infilando una assurdità dopo l'altra. Stefano Dongetti e Alessandro Mizzi tentano di tenere le fila del nostrano tingeltangel, in assurdi duetti e in strampalati monologhi che vanno dalla satira politica a quella di costume (le poesie dialettali di Mizzi sono ormai cult). Lo svogliato servo di scena Nazareno Bassi compie ogni tanto le sue “acide” incursioni in scena, tra parodie virate in teatro dell'assurdo, mentre Massimo Sangermano continua a svelare il lato demenziale del quotidiano con improbabili rassegne stampa e frenetici assoli. Spettacolo eternamente in progress e al limite, il calderone Pupkin Kabarett esporta ogni tanto qualche sua “porzione” anche fuori dal Teatro Miela di Trieste. Ecco le nostre credenziali: - ci vantiamo di portare in scena tra i trenta e i quaranta spettacoli diversi all'anno, uno alla settimana, - in televisione non ci prenderebbero, - ospiti alla serata in onore di Paolo Rossi a Monfalcone, siamo riusciti a farlo ridere e a farci fare dei complimenti senza far uso della forza, - In una serata preNatale siamo riusciti a far suonare Jingle Bells a Vinicio Capossela, sul palco, noi con dei bengala accesi - Stefano Dongetti è stato col suo spettacolino tre o quattro volte al Teatro della Cooperativa a Milano-Niguarda, senza venire mai ricoverato nel vicino ospedale, - siamo tra i pochi comici odierni che non ridono prima del pubblico alle loro battute, -nessuno spettatore si è mai sentito male durante un nostro spettacolo, ma una donna ha partorito subito dopo una serata e la colpa era di uno di noi (ma attribuibile a qualche mese prima) - ci conoscono anche alla Sagra delle Razze a Staranzano, andate a chiedere - siamo economici - Claudio Magris è da più di un anno che dice che viene a sentire le poesie di Mizzi e non è ancora mai venuto. Paolo Rossi è stato nostro ospite al Teatro Sloveno. Nel caso, preferiamo teatri col bar.
TEATRO: E' MORTO HIDEO KANZE, LEGGENDA DEL TEATRO NO
HA LAVORATO MOLTO IN EUROPA, AVEVA 79 ANNI
Tokyo, 11 giu. - (Adnkronos) - L'attore giapponese Hideo Kanze, leggenda del Teatro No (detto anche Nogaku), e' morto a Tokyo all'eta' di 79 anni in seguito ad un tumore. Figlio di Tetsunojo Kanze VII, uno dei piu' grandi maestri del No, apparteneva ad una famiglia d'arte che ha conservato e tramandato di generazione in generazione gli insegnamenti secolari di questa tradizione teatrale. Hideo Kanze ha cominciato a praticare il No all'eta' di 3 anni, con il padre e il nonno; a quattro era con loro in scena. Ha studiato all'universita' nazionale di Tokyo, poi alla scuola Kita; nel 1959 e' stato chiamato a far parte dell'Associazione nazionale del No.
Il Nō (能) è una forma di teatro sorta in Giappone nel XIV secolo che presuppone una cultura elevata per essere compreso, a differenza del kabuki che ne rappresenta la sua volgarizzazione. I testi del nō sono costruiti in modo da poter essere interpretati liberamente dallo spettatore, ciò è dovuto in parte alla peculiarità della lingua che presenta numerosi omofoni. È caratterizzato dalla lentezza, da una grazia spartana e dall'uso di maschere caratteristiche.
Si evolse, insieme alla strettamente correlata farsa Kyōgen, da varie forme d'arte popolari ed aristocratiche, tra cui il Dengaku, il Shirabyoshi e il Gagaku. Kan'ami e suo figlio Zeami portarono il Nō alla sua forma presente durante il periodo Muromachi. A sua volta il Nō influenzò successivamente altre forme d'arte teatrali come il Kabuki e il Butoh. Durante la restaurazione Meiji il Nō ed il Kyōgen vennero riconosciuti ufficialmente come due delle tre forme teatrali tradizionali.
Inizialmente faceva parte, insieme al Kyōgen, di una forma drammatica nota come Sarugaku. Mentre il Nō era centrato sulla danza e sul canto il Kyōgen era soprattutto basato sui dialoghi e sull’improvvisazione che seguiva canovacci predeterminati.
A partire dal XVI secolo i due generi si diversificarono. Il Nō veniva recitato da attori in maschera ed era basato su testi scritti. I primi risalgono al XV secolo ma la maggior parte fu composta nel XVI. Il Kyōgen invece continuava a basarsi in gran parte sull’improvvisazione. I personaggi principali di un Nō sono esseri soprannaturali (divinità, spiriti) oppure personaggi storici o leggendari. Anche in questo si differenziava dal Kyōgen i cui protagonisti erano gente comune.
Il primo autore di Nō fu Kan’ami Kiyotsugu (1334-1384). Insieme a suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1443) e al nipote Motomasa Jūrō (1394-1431) formano la triade della scuola Kanze. Zeami è forse l’autore più importante di ogni epoca con all’attivo oltre duecento opere, che vengono tuttora messe in scena, e molti scritti sul teatro e sull’esecuzione delle opere. Nō Nō
Va comunque considerato che il Nō è una forma teatrale antica tuttora in vita, caso piuttosto raro, e che anche in tempi moderni ci sono stati autori che hanno scritto per questo genere. Uno fra tutti Yukio Mishima (Kindai nogaku shu, Cinque Nō moderni, 1956).
L'Okina/Kamiuta è una forma di rappresentazione unica che combina la danza con rituali shintoisti. Viene considerata la più antica rappresentazione Nō.
L''Heike monogatari ("Il racconto degli Heike"), un racconto medievale dell'ascesa e della caduta del clan taira, cantata originariamente da monaci ciechi che si accompagnavano con il biwa, è un'importante fonte di materiale per il Nō (e per successive forme teatrali), particolarmente per rappresentazioni di guerrieri. Un'altra fonte importante è il Genji Monogatari, un lavoro dell'XI secolo, definito a volte il primo romanzo del mondo. Gli autori si ispirarono anche a classici del periodo nara e del periodo heian ed a fonti cinesi.
Al giorno d'oggi ci sono in Giappone circa 1500 attori professionisti di Nō e la forma d'arte continua ad esistere. Le cinque scuole esistenti di Nō sono la Kanze (観世), la Hosho (宝生), la Komparu (金春), la Kita (喜多) la Kongo (金剛). Ognuna ha a capo una famiglia conosciuta come Soh-ke e solo il capofamiglia di questa ha il diritto di creare nuove rappresentazioni o modificare quelle esistenti. La società degli attori Nō è ancora abbastanza feudale e protegge strettamente le tradizioni dei propri antenati.
Secondo Zeami (attore e autore di questa forma d'arte nel XIV secolo) tutte le rappresentazioni Nō dovrebbero creare un ideale estetico chiamato Yugen, che significa uno spirito profondo e sottile e di Hana, che significa novità. Il Nō rappresenta davvero la cultura giapponese di ricercare la bellezza nella sottigliezza e nella formalità.
Stallman regala lezioni di libertà. E incontra Bertinotti
di Raffaele Mastrolonardo 08/06/2007 - 08:02
Il leader del free software ha tenuto, insieme a Bruce Perens, una lectio magistralis alla Sapienza. L'occasione è un tour italiano che ha portato Stallman a incontrare il presidente della Camera e ad essere ascoltato dalla Commissione Cultura della Camera. E sabato, forse, marcerà contro Bush.
"Io rifiuto di usare software proprietario. La mia coscienza non me lo permette". Lo dice quasi subito, giusto perché non ci siano equivoci sulla natura della sua ispirazione e delle finalità del movimento del software libero. Richard Stallman, dopo tutto, è così. Diretto negli argomenti, suadente nell'eloquio, senza compromessi nei comportamenti. Un'intransigenza e un rigore che hanno sedotto l'uditorio raccoltosi giovedì 7 giugno all'Università La Sapienza per ascoltare la sua lezione magistrale e quella di Bruce Perens, co-fondatore della Open source initiative. E forse hanno smosso qualcosa anche nel presidente della Camera Fausto Bertinotti, incontrato subito dopo, in un tour di evangelizzazione in terra italica che è proseguito con un'audizione davanti alla Commissione cultura della Camera.
"Mi è parso saggio anche se non ancora del tutto convinto", ha detto Perens di Bertinotti alla fine del colloquio. "E' stato solo l'inizio di una lunga discussione. Il problema è che bisogna far capire che si può credere nell'individuo come fonte di innovazione. Le grandi compagnie di software - ha concluso - hanno una totale influenza sul mondo, perchè controllano il software. Noi vogliamo sottrarre gli utenti da questo controllo affinchè ognuno possa partecipare al suo sviluppo".
Qualche ora prima, ai ragazzi stipati nell'aula magna dell'ex Caserma Sani, gli alfieri del software libero avevano offerto, in un vivace duetto, le basi di questo programma di azione. Da una parte l'approccio etico di Stallman, dall'altra quello pragmatico di Perens, che ha proposto una sorta di traduzione dell'universo politico del padre della Free software foundation ad uso del business e dei governi, e ha rivelato così meglio di qualsiasi distinzione libresca, la differenza di filosofia tra approccio free e open. Ma anche, e soprattutto, la loro complementarietà.
Mentre Stallman ha insistito sulla dimensione morale della questione ("il software proprietario è un problema sociale che il software libero vuole risolvere"), Perens si è concentrato sull'aspetto economico ("come la capitalizzazione in borsa distribuisce costi e rischi di un'impresa, l'open source divide costi e rischi di sviluppo tra molti programmatori: tutti ci mettono qualcosa, nessuno troppo").
Stallman ha tuonato contro la pericolosità sociale del software proprietario ("lo spirito di collaborazione è ciò che anima una società e la rende diversa da una giungla; quando un'istituzione ti impedisce di condividere qualcosa, mina questo spirito"), e Perens ha discettato di rivoluzioni di mercato ("anche la fiorente industria della conservazione e distribuzione del ghiaccio è stata soppiantata dall'avvento dei frigoriferi", ha detto liquidando le paure che la diffusione del free software sottragga posti di lavoro alle aziende che producono programmi chiusi).
E se le differenze, linguistiche e concettuali sono emerse chiare ("per i sostenitori dell'open source - ha detto Stallman – il software proprietario è una soluzione inefficiente, per il movimento del free software è il problema"), c'è stato spazio anche per accordi su tutta linea. Come sull'opposizione ai Drm ("i Digital restrictions management, sono funzionalità che permettono a un programma di non funzionare per te", ha detto Stallman) e ai brevetti sul software ("possono uccidere l'open source, e per questo è importante che l'Europa non vari legislazioni in tal senso", ha affermato Perens).
Su temi più attuali, come l'imminente rilascio della GPL v3 e gli accordi di Microsoft con aziende del mondo open source (prima Novell poi Xandros), Stallman ha affermato che "l'accordo con Novell è un tentativo da parte di Microsoft di circuire Novell per trovare un modo di far pagare le persone per avere il permesso di far girare GNU/Linux. Ma con la Gpl v3 pensiamo di avere trovato un modo di rivoltare questo accordo contro Microsoft"). Posizione già espressa recentemente in un commento all'ultima bozza della licenza.
Il tour romano degli alfieri del software libero e dell'open source proseguirà oggi, venerdì 8 giugno, con un dibattito al Festival dell'innovazione che si svolge in questi giorni nella Capitale. Ma per Stallman il soggiorno potrebbe avere anche un finale in strada. Nel corso della lezione, il guru del free software ha infatti affermato che farà il possibile per essere presente alla manifestazione di Sabato contro George Bush, da lui definito come "il peggior nemico del mio Paese".
Martin Pitt has announced the first alpha release (also referred to as "Tribe 1") of Ubuntu 7.10 "Gutsy Gibbon": "Welcome to Gutsy Gibbon Tribe 1, which will in time become Ubuntu 7.10. Tribe 1 is the first in a series of milestone CD images that will be released throughout the Gutsy development cycle. The primary changes from Feisty have been the re-merging of changes from Debian. Common to all variants, we have upgraded the kernel to 2.6.22." Read the release announcement and visit the distribution's testing page for a detailed list of changes updates. Download (MD5): gutsy-desktop-i386.iso (695MB), gutsy-desktop-amd64.iso (699MB). Besides Ubuntu, the project has also released alpha 1 CD images for Kubuntu (release notes), Edubuntu and Xubuntu (see release notes).
Dal giugno 2006 sono iniziati i lavori per la realizzazione dei Nuovi Uffizi. Un evento assolutamente straordinario sia per l'eccezionale valore storico-artistico del complesso monumentale, sia per l'entità delle risorse economiche impegnate. Questo sito vuole rendere visibile la complessa attività progettuale e informare periodicamente sullo stato dei lavori in corso.
Présentation et commentaires par Jean-Paul Baquiast
Gerald M. Edelman, M.D., Ph.D., né en 1929, est directeur du Neurosciences Institute et président de la Neurosciences Research Foundation. Il a reçu le prix Nobel en médecine en 1972 pour ses recherches sur le système immunitaire.
In these two clips from Ken McMullen's improvisational 'Ghost Dance' (1983), Jacques Derrida describes an 'unnatural' ghostly haunting whereby the dead are taken into us, but they are not internalized as they would be under more 'normal' circumstances (a psychoanalytic view of mourning) - he labels this as 'terrifying;' in the second excerpt, Derrida recounts his 1982 arrest in Czechoslavakia on trumped-up drug charges ... Derrida, who was working on an essay about Czech author Franz Kafka (ironically, regarding the 'Before the Law' section of 'The Trial'), claims Kafka's ghost seemed to 'direct' this entire scenario in a strange film-like way ... the actresses are Leonie Mellinger and the late Pascale Ogier...
Martin Heidegger's 1927 magnum opus 'Being and Time' ('Sein und Zeit') is regarded as a twentieth-century philosophical classic... such notions as temporality, angst, authenticity, resolve, The One, The Other, being-toward-death, everydayness, etc., became standard verbiage in later Existentialism... here, philosopher Andrew Benjamin, literary critic George Steiner, and Hannah Arendt biographer Elizabeth Young-Bruel discuss the impact of this monumental work...
In 1971, American linguist/social activist Noam Chomsky squared off against French philosopher Michel Foucault on Dutch television ... the program was entitled 'Human Nature: Justice Vs. Power' and offered sharp contrasts between the more traditional view of 'human nature' and what would become a postmodernist perspective ... Chomsky, following a rationalist lineage going back to at least Plato, believes that there is a foundational 'nature' and that its positive aspects (love, creativity, recognizing and embracing justice) must be realized, while Foucault remains skeptical of any such notion... for him, the issue is not so much whether 'justice' or 'human nature' 'exists,' but how they have historically (and currently) function in society ... in regard to justice, he says (this is not included in the clips): "... the idea of justice in itself is an idea which in effect has been invented and put to work in different types of societies as an instrument of a certain political and economic power or as a weapon against that power..." The point of any political struggle, for Foucault, is to alter the 'power relations' in which we all find ourselves ...
In 1971, American linguist/social activist Noam Chomsky squared off against French philosopher Michel Foucault on Dutch television ... the program was entitled 'Human Nature: Justice Vs. Power' and offered sharp contrasts between the more traditional view of 'human nature' and what would become a postmodernist perspective ... Chomsky, following a rationalist lineage going back to at least Plato, believes that there is a foundational 'nature' and that its positive aspects (love, creativity, recognizing and embracing justice) must be realized, while Foucault remains skeptical of any such notion... for him, the issue is not so much whether 'justice' or 'human nature' 'exists,' but how they have historically (and currently) function in society ... in regard to justice, he says (this is not included in the clips): "... the idea of justice in itself is an idea which in effect has been invented and put to work in different types of societies as an instrument of a certain political and economic power or as a weapon against that power..." The point of any political struggle, for Foucault, is to alter the 'power relations' in which we all find ourselves ...
Hannah Arendt conceptualizó la "banalidad del mal", la maquinaria administrativa y burocratica necesaria para gestionar algo trivial como el correo u ordenar los impuestos y al mismo tiempo administrar el movimiento de los trenes que partian repletos hacia los campos de exterminio.
La "banalidad del mal" presente en los burocratas que gestionaban de igual modo la distribución de cartas y al mismo tiempo la conducción de millones de personas al exterminio.
Chomsky en una dirección parecida se interroga mas allá de la percepción común de condena y espanto frente a las monstruosidades de la guerra:
¿qué es peor un monstruo como Hitler o la apatía y el desinterés general?
Fuente: "Manofacturing consent"
"El documental más exitoso de la historia de Canadá y uno de los más vistos en el mundo. Dura casi tres horas, ha sido premiado más de veinte veces, está dedicado al pensamiento político de Noam Chomsky y centrado en su crítica a los medios de comunicación en las sociedades democráticas. "
Heidegger concludes his 1969 German television interview with Richard Wisser in the following way:
"No one knows what the fate of thinking will look like. In a lecture in Paris in 1964, which I did not give myself but was presented in a French translation, I spoke under the title: "The End of Philosophy and the Task of Thinking." I thus make a *distinction* between philosophy, that is metaphysics, and thinking as I understand it. The thinking that I contrast with philosophy in this lecture—which is principally done by an attempt to clarify the essence of the Greek "aletheia" (unhiddenness) — this thinking is, compared to metaphysical thinking, much simpler than philosophy, but precisely because of its simplicity it is much more difficult to carry out. And it calls for new care with language, not the invention of new terms, as I once thought, but a return to the primordial content of our own language, which is, however, constantly in the process of dying off.
A coming thinker, who will perhaps be faced with the task of really taking over this thinking that I am attempting to *prepare,* will have to obey a sentence Heinrich von Kleist once wrote, and that reads "I step back before one who is not yet here, and bow, a millennium before him, to his spirit."
Portraits d'idées 20 : Le travail dans la campagne avec Christophe Dejours (Psychiatre, psychanalyste, professeur au conservatoire national des arts et métiers et directeur du laboratoire de psychologie du travail et de l'action) Chap 1 : Regard de Campagne (3'27) Un film de Thomas Lacoste Pour l'Autre campagne.
Penser le travail, une urgence politique
par Christophe Dejours
Que se cache-t-il derrière le retour en force de la valeur travail dans les discours des candidats à la présidentielle ? Réponses du psychiatre et psychanalyste Christophe Dejours. Entretien vidéo.
Nicolas Sarkozy rend un répétitif hommage à « la France qui se lève tôt ». Ségolène Royal parle régulièrement au nom des caissières et des femmes employées à temps partiel lors de ses apparitions publiques. Le psychiatre et psychanalyste Christophe Dejours revient sur le recours systématique à la « valeur travail » par les deux principaux candidats à la présidence. Si le travail est à nouveau présent dans les discours politiques, si les intellectuels et politiques ont rompu avec les « analyses aberrantes » sur la fin du travail, que se cache-t-il derrière ce nouveau discours ? Comment à la fois marteler le slogan « travailler plus pour gagner plus » et aduler les réussites individuelles et fulgurantes qui ne reposent plus sur le travail mais bien davantage sur « la triche » et les revenus du patrimoine ? Comment exalter le travail tout en laissant le sous-emploi se développer, et les nouvelles organisations du travail détruire les collectifs ?Pour Christophe Dejours, il faut à nouveau reconnaître la centralité du travail dans la construction de l’identité des individus, mais aussi dans la bonne marche de la cité : « Le travail est un grand apprentissage des règles de la démocratie. Il faut s’atteler à étudier à nouveau, et à combattre les nouvelles formes d’organisation du travail qui de plus en plus instrumentalisent autrui dans un seul but : l’efficacité et le profit. » Propos recueillis par Sonya Faure et Thomas Lacoste, en collaboration avec l’Autre Campagne ( www.lautrecampagne.org ).
Psychiatre et psychanalyste, Christophe Dejours est professeur au Conservatoire des Arts et métiers (CNAM) et directeur du Laboratoire de psychologie du travail et de l’action. Il est l’auteur de Souffrance en France, sur la souffrance au travail et l’injustice sociale. Il a également présidé la commission « Violence, travail, emploi et santé » qui a participé à l’élaboration du rapport « Violence et santé » rendu au gouvernement en octobre 2005
The word solitude and its concept occur episodically in these propositions because they are intimately linked to poetry, but, I am not really sure that "the solitude of the poet" is a form of punishment. If one "enters into solitude", it is no sacrifice, no calling (qwarkpsy, psychanalyse, seniorpsy)